La droga dello scrolling e la generazione “appesa”

7 Ott, 2021News

NOVITÀ

di Ivano Zoppi
Segretario Generale Fondazione Carolina

La droga più diffusa tra i ragazzi si chiama scrolling, non si fuma, non si assume via orale né inalandola. Più che le siringhe c’entrano le spine, quelle che i ragazzi infilano nelle prese per caricare i propri smartphone e poter continuare a scorrere. Scorrere i post, le foto su Instagram, i video o i prodotti online.
Si chiama scrolling ed è il vortice che risucchia le nuove generazioni nel vuoto della Rete.
Un buco nero che applica il modello dei video poker alla dimensione digitale. Ore e ore, pomeriggi e notti a strisciare l’indice (o il pollice) dal basso verso l’alto, in cerca di qualcosa, qualunque cosa che possa dare un senso, un’emozione, un appagamento. E quando non sono connessi? I nostri figli restano comunque collegati. Anzi, appesi, come direbbe Michele Serra. Sospesi nell’ansia di ricevere un like, di aumentare i follower, di ascoltare un vocale o di rispondere a un messaggio. Così siamo noi stessi a doverci ricaricare, attaccandoci a quella Rete, da cui non sappiamo staccarci. Non è solo colpa delle notifiche… lo abbiamo capito durante i rari, ma memorabili, blackout dei social. Un isterismo collettivo paragonabile al crollo di un palazzo, di un ponte o della borsa, più che a quello di un server.
Eppure, soprattutto le nuove generazioni, abitano il web almeno quanto il mondo fisico, non solo in termini di quantità. Dentro i loro profili social, attorno a quei contenuti e a quelle interazioni, hanno costruito delle certezze, dei valori, dei sogni che fanno parte della loro identità. Ma sono fragili, come una connessione.


Se uno trascorre la vita appeso al suo smartphone e non trova il tempo di guardare le nuvole, o di fare una passeggiata, certamente è patologico. Ma di questa patologia non è solamente la vittima: ne è anche l’autore.”


Quello che il giornalista Michele Serra scrive oggi sulla sua Amaca è certamente valido per noi adulti, tanto più cresciuti in un mondo per lo più analogico, dove lo spauracchio educativo era rappresentato dalla Tv. Oggi quanto possono decidere i nostri ragazzi del loro presente? Figuriamoci del futuro. Su quanta autonomia di pensiero possono contare? Di certo potrebbero staccarsi da quella “droga” digitale per qualche ora in più, o forse siamo noi adulti, noi genitori, noi educatori ad averli lasciati appesi, ad averli dimenticati, come panni stesi fuori dal balcone ormai asciutti, ma faticosi da ritirare.

Cominciamo da qui!

Cominciamo a ritirare questi , nostri “panni”. Questi nostri figli esposti, persi nella rete, spesso naufraghi in un tempo che non sa più raccontarli.
Si può “sopravvivere anche senza i social”, scrive Michele Serra. Dovrebbero capirlo anche le big tech, cui tanto, troppo abbiamo affidato del nostro futuro, ebbri della comodità di poter parcheggiare i nostri ragazzi davanti a qualsiasi device, purché ci lasciassero lavorare, mangiare o riposare.
Tim Cook, contro i suoi stessi interessi, ha dichiarato che “la tecnologia dovrebbe a mettersi al servizio dell’umanità e non il contrario”.
Finché non saremo capaci di invertire questa rotta, non saremo mai felici di navigare.

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